Accreditamento o Azzeramento?
L’accreditamento in buona sostanza è una forma di garanzia per il fruitore finale di un servizio. Garanzia di efficacia, rispetto di standard scientifici ed etici e possibilità, per tutti noi, di una qualche forma di controllo sugli stessi.
Lo IAF – International Accreditation Forum, network mondiale per l’accreditamento: la descrive così:
“Accreditation is the independent evaluation of conformity assessment bodies against recognised standards to ensure their impartiality and competence. Through the application of national and international standards, government, procurers and consumers can have confidence in the calibration and test results, inspection reports and certifications provided”.
Se entro in una sala operatoria come paziente, e speriamo non capiti spesso, desidero fortemente che ad esempio siano perseguiti i seguenti obiettivi:
- Operare il paziente corretto ed il sito corretto
- Prevenire la ritenzione di materiale estraneo nel sito chirurgico
- Identificare in modo corretto i campioni chirurgici
- Preparare e posizionare in modo corretto il paziente
- Prevenire i danni da anestesia garantendo le funzioni vitali
- Gestire le vie aeree e la funzione respiratoria
- Controllare e gestire il rischio emorragico
- Prevenire le reazioni allergiche e gli eventi avversi della terapia farmacologica
- Gestire in modo corretto il risveglio ed il controllo postoperatorio
- Prevenire il tromboembolismo postoperatorio
- Prevenire le infezioni del sito chirurgico
- Promuovere un’efficace comunicazione in sala operatoria
- Gestire in modo corretto il programma operatorio
- Garantire la corretta redazione del registro operatorio
- Garantire una corretta documentazione anestesiologica
- Attivare sistemi di valutazione dell’attività in sala operatoria
[fonte OMS “Guidelines for Safe Surgery” con adattamenti alla realtà nazionale da parte del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali]
Per ciascun punto esistono poi delle check list, delle procedure e protocolli validati da rispettare alla lettera. Il tutto appoggia su una solida letteratura clinico-scientifica internazionale. Ma se parliamo di un Gruppo Appartamento per persone che hanno l’anima lacerata, definiti pazienti psichiatrici cosa mi devo aspettare come accreditamento? Quanto può questo processo somigliare alla sala operatoria?
Partiamo dalle definizioni. cos’è un gruppo appartamento.
Dopo la rivoluzione della Legge n. 180 (legge Basaglia) inglobata poi nelle Legge n. 833, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.) e dopo la delibera del Consiglio Regionale del 28/01/1997, n. 357-1370 tutt’oggi in vigore seppur in discussione, si definiscono i Gruppi Appartamento : “quali soluzioni abitative per rispondere a specifiche esigenze di residenzialità assistita di tipo non asilare, rivolte a pazienti giunti in una fase avanzata del loro reinserimento sociale”.
Luoghi in cui sia possibile lo svolgimento di programmi terapeutico-riabilitativi per utenti di esclusiva competenza psichiatrica, da collocarsi in aree urbanizzate, facilmente accessibili evitando l’isolamento degli utenti.
Requisito strutturale unico e fondante possedere le caratteristiche di una civile abitazione.
Una casa come la mia e la vostra dove poter “abitare” e non solo stare.
La riabilitazione psichiatrica infatti passa anche attraverso i concetti di casa e di abitare, spesso intesi con il medesimo significato, ma in realtà possibili rappresentazioni di un modo assai diverso di vivere. Se per casa si intende un luogo ove semplicemente vivere, non occorre manifestare particolari abilità, è sufficiente “stare” e questo è possibile in ogni luogo (dall’ospedale psichiatrico ad un alloggio) e a qualsiasi livello di riabilitazione raggiunta.
Abitare, invece, può rappresentare qualcosa di più e di diverso: acquisire contrattualità, esercitare un potere, sia esso materiale o simbolico, essere protagonisti e partecipi di quanto si sta vivendo. Il manicomio ha simboleggiato il luogo per eccellenza del “non abitare”, ma dello “stare”; per questo la svolta della psichiatria ha focalizzato gran parte del suo interesse sulla residenzialità; la storia di un paziente psichiatrico è anche un percorso di “case”, posti che come detto non implicano necessariamente l’abitare.
Tornando a noi come si accredita un Gruppo Appartamento?? Si rispetta il concetto di civile abitazione o no? e se si come?
Prendiamo un esempio non tanto a caso unicamente sui requisiti strutturali (esistono anche quelli organizzativi di personale ecc.):
Avere una localizzazione idonea ad assicurare l’integrazione e la fruizione degli altri servizi del territorio; Sacrosanto
Rispondere ai requisiti previsti nella vigente normativa in ordine alla eliminazione delle barriere architettoniche; Hmm già casa mia e casa vostra forse sono fuori legge. Oddio è sacrosanto che se io fossi un paziente con disabilità fisica (non è così frequente nei pazienti psichiatrici per la mia esperienza) gradirei essere assistito ugualmente. Fino ad oggi essendo personalizzati i programmi terapeutici si è sempre trovata una soluzione dal basso condivisa, si cercava cioè quella migliore per il paziente.
Svolgere un’attività di rete con gli altri servizi del territorio, in modo da favorire l’integrazione dei pazienti con la comunità locale; Sacrosanto
Essere localizzati preferibilmente nel cuore degli insediamenti abitativi o comunque in una soluzione idonea a garantire una vita di relazione, anche mediante l’utilizzo delle infrastrutture presenti sul territorio (es. piscine, cinema, ecc.), al fine di favorire il reinserimento sociale del paziente psichiatrico, una volta stabilizzato; Sacrosanto
Garantire la possibilità di raggiungere facilmente la struttura con l’uso dei mezzi pubblici e privati per garantire la continuità e la frequenza delle visite dei familiari e conoscenti; Sacrosanto
Prevedere una personalizzazione delle stanze con arredi di tipo non ospedaliero; Sacrosanto
Essere organizzati in modo da garantire l’assenza di ostacoli fisici (es. arredi o terminali degli impianti) negli spazi di transito che possono impedire agli utenti e agli operatori di potersi muovere in sicurezza, anche in caso di emergenza e/o pericolo; Sacrosanto sempre nei limiti del buon senso, sennò le nostre case rischierebbero di essere tagliate fuori.
Essere organizzati in modo da limitare il più possibile i rischi derivanti da condotte pericolose messe in atto dai soggetti ospitati in momenti di crisi (es.: entrate/uscite sorvegliate, limitazione o controllo dell’accesso a locali e/o aree pericolose); Ahi Ahi Ahi questo potrebbe facilmente portare alle posate di plastica, le porte sprangate, le sedie ancorate per terra, la video sorveglianza, niente balconi e via dicendo. Casa mia e credo le vostre non andrebbero bene.
Prevedere una segnaletica interna semplice, localizzata in punti ben visibili, chiara, con caratteri di dimensioni tali da poter essere letti anche da chi ha problemi di vista con un buon contrasto rispetto allo sfondo; In teoria è giusto ma ancora una volta le nostre case non penso abbiano questo tipo di organizzazione
Prevedere nell’ingresso della struttura la presenza di uno schema che spieghi in modo chiaro e semplice la distribuzione degli spazi della stessa; idem con patate
Garantire l’adeguamento alle norme previste dal testo unico sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, di cui al D.Lgs. n. 81 del 9 Aprile 2008 e D.Lgs. n. 106 del 3 Agosto 2009. Il possesso di tale requisito deve essere attestato nell’ambito di un’apposita relazione tecnica redatta da un professionista abilitato; Giustissimo per il personale ma le nostre case se lo sognano.
Quindi come si fa ad accreditare un Gruppo Appartamento e che conseguenze può avere per gli ospiti che ad oggi vi abitano?
Più ci si avvicina al modello ospedaliero, o alle case di riposo, più si può star tranquilli, ma di fatto l’accreditamento più semplice sarebbe rifare i manicomi. Allora si avrebbero tutte quelle garanzie strutturali di cui sopra.
Il rischio però è che dall’accreditamento si passi in un paio di anni all’azzeramento della rete territoriale dei gruppi appartamento in Piemonte, di tutti quelli (civili abitazioni) in palazzine anni 60/70, nei centri storici, insomma in case comuni – privi di requisiti – che: verrebbero screditati prima e svuotati poi. Probabilmente sostituiti nel tempo, spostando i pazienti, in comunità perfettamente a norma che definirei Minicomi. Piccoli manicomi in cui si perderebbe l’anima della 180 conservando tutte le norme strutturali che ho elencato. Manicomi nel senso della rinascita di un pensiero fortemente istituzionalizzante e di esclusione sociale.
E quindi? Esistono alternative? La risposta è ovviamente si.
Serve la volontà politica e la cultura per sostenerle però.
Per adesso fra le varie possibilità, e ne esistono (saranno oggetto di un altro articolo), credo che preservare il concetto cardine di civile abitazione sia ancora la maggior garanzia per chi ci vive.
Toccasse a me andarci ad abitare come parte di un percorso di cura, gradirei vivere in una casa “normale” anche “sgangherata” in mezzo alla gente “normale” piuttosto che in un luogo sicuro, sovra-accreditato ma senza anima simile ai vecchi lazzaretti.