Verso una Definizione di Terapeuticità dei Gruppi Appartamento
DGR 30 atto secondo: finalmente la fase propositiva!
Dopo una lunga “battaglia” culturale, politica e legale si cambia verso in Piemonte.
Grazie all’impegno delle Associazioni di familiari e pazienti, del Privato Sociale e del Privato Profit che hanno fatto sentire la loro voce ricorrendo al TAR.
Grazie a quelle forze politiche che in Consiglio Regionale hanno chiesto alla Giunta Regionale di cambiare rotta proponendo documenti, simili a ciò che Abitazioni Terapeutiche chiede da quasi due anni, in primis riconoscere che almeno una parte dei gruppi appartamento ha carattere terapeutico ed è da comprendere fra le strutture sanitarie.
documento riordino psichiatria pd
Adesso si cambia registro.
Ora bisogna discutere però di quali siano i criteri corretti per identificare gli appartamenti terapeutici. Secondo alcune proposte, fra cui quella contenuta nella mozione del consigliere Vignale (vedi sopra), il discrimine sarebbero le 24 o le 12 ore di presenza fisica dell’operatore.
Ci sembra un’ipotesi non molto condivisibile, perché sovrappone il concetto di terapeuticità con quello di copertura, che invece non coincidono affatto, anzi.
Crediamo sia importante insistere su questo punto, anche perché le bozze dei nuovi LEA nazionali (documento allarmante, di cui sino ad oggi è discusso pochissimo) proposte dal Governo ma non ancora approvate, pretenderebbero di comprendere nei livelli essenziali di assistenza solo le strutture coperte sulle 24 ore.
Bisogna assolutamente evitare di incorrere in questo errore.
Per copertura si intende il numero di ore al giorno in cui almeno un operatore è presente presso il luogo di cura: un aspetto che ha più a che fare con il concetto di protezione (o controllo-sorveglianza) che non di terapeuticità. Secondo questa impostazione potrebbe essere considerato terapeutico, in quanto coperto sulle dodici ore, un appartamento in cui un solo operatore -ad esempio un OSS- è in servizio dalle otto di mattina alle otto di sera; e invece assistenziale, perché coperto per meno di dodici ore, un appartamento in cui due educatori sono attivi in compresenza per otto ore al giorno.
E’ evidente che il ragionamento non sta in piedi; anche perché, in modo analogo alla DGR30, continua a considerare prevalenti aspetti strutturali, statici, rispetto a quelli funzionali.
Per aspetti funzionali intendiamo quelli che definiscono come il luogo di cura funziona ossia quali attività svolge; da questo punto di vista il requisito della copertura, in sé, non dice quasi nulla. Un appartamento coperto sulle 12 o sulle 24 ore potrebbe benissimo funzionare in modo assistenziale e non terapeutico; e infatti il modello Agenas Gism prevede strutture di questo tipo.
Lo stesso modello Agenas Gism indica in modo esplicito i requisiti che sono invece rilevanti ai fini della terapeuticità:
- “numerosità e intensità degli interventi complessivamente erogati”;
- “mix di tipologie diverse di interventi (individuali, di gruppo, terapeutici, riabilitativi, in sede, fuori sede, ecc)”;
- “numerosità e l’intensità degli interventi di rete sociale (famiglia, lavoro, socialità)”.
Si vede bene che un tale profilo funzionale potrebbe essere soddisfatto anche in un appartamento in cui la presenza fisica degli operatori è inferiore alle 12 ore, per fasce orarie. Oppure potrebbe essere del tutto assente in una struttura coperta sulle 24 ore, in cui l’operatore in servizio si limita ad erogare interventi di badanza-sorveglianza.
In termini pratici la Regione dispone ora dei dati (ancora non resi pubblici) del censimento delle strutture e degli utenti inseriti, dal quale si potrà cominciare a dedurne l’effettivo funzionamento, seppur con un certo grado di approssimazione, .
In particolare, per quanto riguarda le strutture si vedrà:
- quali sono le équipe composte in maggioranza da operatori con una formazione terapeutico-riabilitativa (educatori, tecnici della riabilitazione, psicologi, infermieri, medici);
- quali sono gli orari di servizio di ogni operatore.
E Per quanto riguarda gli utenti:
- Quali sono le loro caratteristiche cliniche e psicopatologiche;
- Qual è la durata e l’evoluzione del loro percorsi.
Per completare il quadro dei requisiti richiesti dal modello Agenas Gism bisognerebbe poi aggiungere un aspetto fondamentale, non indagato in modo diretto dalle schede regionali ossia: “la numerosità e l’intensità degli interventi di rete (famiglia, lavoro, socialità)”; ciò dipende soprattutto da quanto l’appartamento è inserito nel contesto sociale e nella rete delle agenzie di cura, piuttosto che isolato dal mondo e autoreferenziale, impegnato a “sorvegliare” e “badare” piuttosto che riabilitare.
La DGR 30 non prendeva in minima considerazione alcuno di questi punti.
l’operazione di riscrittura, oggi ineludibile, dovrà declinarli in modo pragmatico, non troppo complesso o rigido, per tracciare il confine delle strutture e dei progetti a totale connotazione terapeutica e quindi sanitaria.
Naturalmente bisogna ricordare che, nel contesto della riabilitazione psichiatrica, per sanitario non si intende “para-ospedaliero” o “medico-infermieristico”, né si parla di semplice controllo dei sintomi.
L’obiettivo di salute è quell’insieme di interventi, di comprovata efficacia, volti a preservare “l’autonomia e l’esercizio dei diritti di cittadinanza”, delle persone “con alto rischio di cronicizzazione e di emarginazione sociale” (Progetto Obiettivo Salute Mentale, 1999); nell’ambito di “servizi flessibili, orientati sui bisogni e sulle persone e recovery oriented” (Piano d’Azioni Nazionale per la Salute Mentale, 2013); in cui recovery significa: “aiutare gli utenti a sviluppare le abilità e ad accedere alle risorse di cui hanno bisogno per migliorare la loro possibilità di avere successo e di essere soddisfatti negli ambienti di vita, lavoro, studio e nei contesti sociali di loro scelta». (United States Psychiatric Rehabilitation Association, 2007).
Non c’è dubbio che nell’ambito di progetti con questa connotazione, le figure degli educatori professionali, dei tecnici della riabilitazione psichiatrica, degli psicologi, e anche degli assistenti sociali, al pari di infermieri e medici psichiatri, svolgano tutte funzioni sanitarie.
POSSIBILI REQUISITI PER DEFINIRE LA TERAPEUTICITA’ DEGLI APPARTAMENTI
Il primo requisito per definire la terapeuticità degli appartamenti dovrebbe quindi essere la prevalenza di queste figure professionali nell’ambito dell’équipe.
In secondo luogo bisognerebbe considerare l’orario di servizio degli operatori, correlato con la “intensità e numerosità” degli interventi; come già detto con orario di servizio non si intende la copertura, ma il numero di ore settimanali o mensili che gli operatori possono dedicare agli utenti, a prescindere dalla distribuzione delle ore nel corso della giornata. In particolare la possibilità più o meno ampia di compresenze, cioè la presenza contemporanea di più operatori in servizio, definisce quanto siano organizzabili attività diverse (individuali, di gruppo, interne o esterne, di rete).
Su tale base si potrebbe, in modo molto semplice, inserire nella categoria SRP2 tutti i gruppi appartamento che, indipendentemente dalla copertura, al momento del censimento possiedono un profilo di figure professionali analogo, e un minutaggio per paziente uguale o superiore, a quello previsto per le SRP2. Rispetto alla DGR 30, però, sarebbe preferibile prevedere un range massimo e minimo anziché minutaggi fissi, e soprattutto la possibilità di scelta di figure diverse in modo funzionale ai progetti personalizzati.
La terza osservazione riguarda le caratteristiche degli utenti e i percorsi di cura. Il profilo di terapeuticità è connesso con l’intervento su utenti con un elevato livello di problematicità e instabilità, nell’ambito di percorsi a termine e comunque evolutivi.
Quarto punto la rete. Per quanto riguarda il requisito indicato dal modello Agenas Gism della apertura ad interventi di rete sociale, bisognerebbe considerare attentamente gli aspetti relativi all’organizzazione del lavoro e ai collegamenti con il territorio e con le reti formali ed informali che esso contempla.
E’ impossibile avere una vera impostazione a rete se un appartamento funziona con un profilo organizzativo ingessato in cui gli operatori devono rimanere tutto il tempo all’interno a “montare la guardia”, come avverrebbe in un reparto ospedaliero o in una casa di riposo; gli appartamenti terapeutici non possono essere luoghi di cura isolati e autosufficienti che svolgono tutte le funzioni al proprio interno, attraverso la somministrazione predefinita di interventi parcellari.
In termini di organizzazione del lavoro, la copertura oraria deve essere intesa come presenza in servizio attivo, ma gli operatori devono poter agire sia all’interno che all’esterno dell’appartamento, anche sul territorio seguendo i pazienti nei loro percorsi, con interventi sia individuali che di gruppo, in modo flessibile, adattandosi all’evoluzione delle situazioni. In alcuni momenti è cruciale che tutti gli operatori siano presenti in contemporanea all’interno dell’appartamento, mentre in altre fasi tale presenza sarebbe inutile o dannosa, ed è assai più indicato che gli utenti vengano accompagnati o supportati individualmente all’esterno.
In termini di rapporto con le reti formali si dovrebbe considerare che tipo di relazioni strutturate esistono fra l’appartamento e altre agenzie di cura.
Per essere considerato terapeutico, riteniamo che un appartamento dovrebbe necessariamente avere rapporti contrattualizzati con altre agenzie, con cui formare una rete strutturata.
Di tale insieme devono far parte altri appartamenti, comunità protette, progetti di domiciliarità individuali o per piccolo gruppo, e naturalmente i Csm territoriali, nell’ambito di un rapporto organico di coordinamento e co-progettazione rispetto alle strutture nel loro complesso, non limitato a singoli utenti nell’ambito del Piano terapeutico individuale (Pti).
Questo requisito non è affatto in contrasto con la sentenza del Tar del 2005 che ha posto fine all’esclusiva del servizio pubblico nella gestione dei gruppi appartamento, ma richiederebbe anche ai gestori privati di garantire un funzionamento a rete fra le strutture, senza il quale non è realizzabile alcuna reale funzione terapeutica.
Come già accennato, il concetto di rete riabilitativa è considerato cruciale dalla letteratura scientifica, è previsto in modo chiarissimo dal Piano d’Azioni Nazionale per la Salute Mentale del 2013, e anche dal modello della residenzialità Agenas Gism, che lo richiama al punto citato sopra, pur non approfondendo oltre. La nuova DGR corretta dovrebbe andare con coraggio in questa direzione, tenendo presente che l’organizzazione flessibile e in rete dei gruppi appartamento è attiva da tempo in diverse realtà locali, rappresentando una delle specificità del modello piemontese.
In alcune situazioni il funzionamento in rete è così stretto da riguardare più appartamenti distinti, ma fisicamente prossimi e gestiti in stretto coordinamento operativo da una sola équipe multidisciplinare; ai fini dell’accreditamento, proponiamo di considerare tali aggregazioni “forti” come un’unica struttura, per un massimo di 10-12 pazienti complessivi.
Nell’ambito di un tale stretto coordinamento, anche la presenza notturna potrebbe essere assicurata mettendo in comune un solo turno attivo fra due o tre appartamenti sostenuti dalla stessa équipe. In tal modo si garantirebbe, in modo economicamente sostenibile, una presenza sulle 24 ore anche presso gruppi ristretti di cinque o sei persone, ma solo quando richiesto e per il tempo necessario.
Il razionale è garantire livelli di intensità terapeutico-riabilitativa da “struttura” anche in contesti di civile abitazione, diversi dalle ex comunità protette, di dimensioni più ridotte, più economici, più flessibili e simili a vere e proprie case radicate nel territorio. Il limite di dodici posti, anziché dieci, raggiungibile complessivamente in diversi appartamenti (e dunque non in contrasto con il requisito di massimo dieci posti in contesti di civile abitazione previso dal Decreto Bindi) consentirebbe una maggiore flessibilità, permettendo anche l’inserimento di utenti in pronta accoglienza, magari provvisoria, a partenza da altri progetti integrati, meno protetti, della rete allargata, compresi progetti di domiciliarità.
In conclusione RIASSUMIAMO alcune delle nostre PROPOSTE, offerte al legislatore come possibile riferimento tecnico:
dovrebbero essere accreditati come SRP2, di natura sanitaria, a carattere terapeutico-riabilitativo e a totale carico della sanità, tutti i gruppi appartamento (strutture di civile abitazione, senza alcun requisito strutturale-abitativo aggiuntivo) che indipendentemente dalla copertura oraria:
- al recente censimento funzionale, possiedano un profilo di figure professionali analogo, e un minutaggio per paziente uguale o superiore, a quello previsto per le SRP2;
- abbiano in cura utenti con quadri psicopatologici gravi e instabili, nell’ambito di percorsi evolutivi e rigorosamente a termine;
- abbiano un vero funzionamento a rete
- stretto coordinamento funzionale e rapporto contrattualizzato con altri appartamenti, ex comunità protette, progetti di domiciliarità individuali o per piccolo gruppo;
- rapporto contrattualizzato con i Csm territoriali, nell’ambito di reti riabilitative gestite in stretta integrazione;
- ai fini dell’accreditamento – standard di personale e minutaggio – possa essere considerato come struttura accreditabile anche un insieme di più appartamenti distinti, purché gestiti in rete con uno stretto coordinamento funzionale da parte della stessa équipe, fino a un massimo di dodici posti complessivi.
Dall’irritazione dell’ostrica nasce la perla. Dopo questi anni di travaglio e mancato reale confronto, abbiamo tutti una grande possibilità.
Questa riforma che deve essere emendata, può costituire un nuovo risorgimento che, ponendo ordine, salvaguardi quelle esperienze virtuose già esistenti in Piemonte.