E Così Ha Inizio
Descrizione laica e sintetica di cosa sta succedendo e succederà alla assistenza
residenziale rivolta ai pazienti psichiatrici in Piemonte dal punto di vista dei gestori.
PREMESSA
Il 2 Luglio 2015 è stata pubblicata la Deliberazione della Giunta Regionale 3 giugno 2015, n. 30-1517 con oggetto il riordino della rete dei servizi residenziali della Psichiatria.
La delibera di giunta D.G.R. porta la firma congiunta degli Assessori Ferrari e Saitta, rispettivamente Assessore alle Politiche sociali, della famiglia e della casa e Assessore alla Sanità, Livelli essenziali di assistenza, Edilizia sanitaria. Questi due signori qui.
Il provvedimento di cui sopra inserisce d’autorità tutte le strutture classificate come gruppi appartamento secondo la DCR 357, nella categoria SRP3 secondo il modello Agenas-Gism: ovvero le considera tutte come strutture prive di una funzione terapeutica-riabilitativa, che possono garantire solo interventi di taglio assistenziale a bassa intensità, per pazienti con patologie lievi, croniche e stabilizzate.
“[..] le Comunità Protette di tipo A e B confluiranno rispettivamente in S.R.P.1 ed in S.R.P.2, recependo il sistema di classificazione degli utenti definito con il presente provvedimento. I Gruppi Appartamento e le Comunità Alloggio, invece, convergeranno nelle strutture S.R.P.3”
E’ banale che questa interpretazione rigida delle norme costituisca un grave errore.
Come abbiamo già detto altrove viene minato un sistema in cui i Gruppi Appartamento hanno svolto e documentato ben altra funzione.
Nelle aree metropolitane è stato difficile reperire locali adatti a rispettare i rigidi requisiti strutturali previsti per le Comunità protette di tipo A e B a costi sostenibili. Quei luoghi che dovevano essere terapeutici e riabilitativi. Nel La DCR 357 del 1997, conferiva un mandato terapeutico solo a CPA e CPB, prevedendo caratteristiche strutturali analoghe a quelle delle RAF: utili per anziani e disabili, ma superflue, se non controproducenti, per i pazienti psichiatrici. Di conseguenza le comunità protette hanno sviluppato quasi tutte caratteristiche strutturali “pesanti”: massimo dei posti letto previsti (20), per lo più in grandi stabili indipendenti, posti in aree periferiche o rurali, o addirittura dentro complessi di tipo para-ospedaliero, contigue ad altre strutture sanitarie.
Come è possibile sostenere che sia la pesantezza strutturale, di tipo para-ospedaliero, a conferire una funzione terapeutica alle comunità? Dalla legge 180 in poi, e alla luce di tutta la letteratura internazionale, nessuno può seriamente sostenere che per riabilitare i pazienti psichiatrici serva l’ospedale o strutture che dell’ospedale riproducono la logica ambientale e organizzativa. Infatti le CPA e CPB più serie ed efficaci, nonostante i criteri della 357, fanno di tutto per non sembrare e non funzionare come ospedali in miniatura.
Pensare a funzioni terapeutico-riabilitative in normali alloggi di civile abitazione, per gruppi di pazienti inferiori a venti, un azzardo? Viola qualche normativa ? E’ una “follia” piemontese?
Ovviamente no. Basta dare un’occhiata alle normative di altre Regioni importanti: in Lombardia, Lazio, Toscana, possono avere caratteristiche di civile abitazione anche strutture ad elevata e intermedia intensità terapeutica (SRP1 e 2) a totale carico della sanità, fino a dieci posti. In Emilia Romagna, Veneto e Puglia sono accreditate come SRP1 e 2 strutture di civile abitazione anche oltre i dieci posti; vengono solo richiesti alcuni requisiti strutturali aggiuntivi di buon senso (numero minimo di metri quadri per stanza, almeno un bagno, anche non attrezzato per disabili, ogni 4 posti e poco altro). Non si chiamano gruppi appartamento, ma hanno gli stessi standard funzionali e di personale di alcuni gruppi appartamento piemontesi operanti da anni.
COSA ACCADE ADESSO?
Per chi gestisce i gruppi appartamento adesso la DGR è chiara:
“[..] i Gruppi Appartamento che al 31/12/2014 potevano vantare rapporti in essere dimostrabili con i D.S.M. piemontesi (contratti di inserimento, convenzioni con indicazione dell’ubicazione), dovranno adeguarsi a quanto di seguito disciplinato. In tale fase è prevista, nei primi 5 mesi, una rivalutazione dei pazienti presenti nelle strutture, volta a verificare l’appropriatezza degli inserimenti; laddove vi sia incoerenza tra livelli di assistenza erogati e necessità assistenziali del paziente, il D.S.M. inserente entro un anno dall’entrata in vigore del presente provvedimento dovrà ricollocare lo stesso in struttura idonea (S.R.P.1, S.R.P.2 e S.R.P.3.). Inoltre, nella fase transitoria, le strutture aventi diritto, se in linea con i requisiti soggettivi, organizzativi, gestionali e strutturali, dovranno presentare istanza di autorizzazione all’esercizio e di accreditamento“.
Noi gestori dobbiamo far richiesta di autorizzazione ed accreditamento all’ASL, dichiarandoci come SRP3 in ottemperanza a criteri che la regione indica chiaramente. Criteri strutturali e funzionali, organizzativi e di personale.
E qui cominciano i problemi:
- Molti dei pazienti che ospitiamo non rientreranno nelle caratteristiche delle nuove SRP3, che fino ad oggi hanno svolto anche funzione terapeutico-riabilitativa (le nuove SRP1 e 2)
- I criteri strutturali, quasi folli, sono difficilmente soddisfabili. Quelle che sono state civili abitazioni, terapeutiche in quanto il paziente stava nel mondo reale in contesti “normali” ed urbani, oggi dovrebbero diventare dei miniospedali rispondendo ad esempio ai seguenti requisiti “[..]Possesso dei requisiti previsti dalle vigenti leggi in materia di
- Agibilità;
- Protezione antisismica;
- Protezione antincendio;
- Protezione acustica;
- Sicurezza elettrica e continuità elettrica;
- Sicurezza anti infortunistica; o Igiene dei luoghi di lavoro;
- Protezione dalle radiazioni ionizzanti;
- Smaltimento rifiuti;
- Condizioni microclimatiche;
- Impianti di distribuzione dei gas;
- Materiali esplodenti.
ed ancora
- Avere una localizzazione idonea ad assicurare l’integrazione e la fruizione degli altri servizi del territorio;
- Rispondere ai requisiti previsti nella vigente normativa in ordine alla eliminazione delle barriere architettoniche;
- Svolgere un’attività di rete con gli altri servizi del territorio, in modo da favorire l’integrazione dei pazienti con la comunità locale;
- Essere localizzati preferibilmente nel cuore degli insediamenti abitativi o comunque in una soluzione idonea a garantire una vita di relazione, anche mediante l’utilizzo delle infrastrutture presenti sul territorio (es. piscine, cinema, ecc.), al fine di favorire il reinserimento sociale del paziente psichiatrico, una volta stabilizzato;
- Garantire la possibilità di raggiungere facilmente la struttura con l’uso dei mezzi pubblici e privati per garantire la continuità e la frequenza delle visite dei familiari e conoscenti; Prevedere una personalizzazione delle stanze con arredi di tipo non ospedaliero;
- Essere organizzati in modo da garantire l’assenza di ostacoli fisici (es. arredi o terminali degli impianti) negli spazi di transito che possono impedire agli utenti e agli operatori di potersi muovere in sicurezza, anche in caso di emergenza e/o pericolo;
- Essere organizzati in modo da limitare il più possibile i rischi derivanti da condotte pericolose messe in atto dai soggetti ospitati in momenti di crisi (es.: entrate/uscite sorvegliate, limitazione o controllo dell’accesso a locali e/o aree pericolose);
- Prevedere una segnaletica interna semplice, localizzata in punti ben visibili, chiara, con caratteri di dimensioni tali da poter essere letti anche da chi ha problemi di vista con un buon contrasto rispetto allo sfondo;
- Prevedere nell’ingresso della struttura la presenza di uno schema che spieghi in modo chiaro e semplice la distribuzione degli spazi della stessa;
- Garantire l’adeguamento alle norme previste dal testo unico sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, di cui al D.Lgs. n. 81 del 9 Aprile 2008 e D.Lgs. n. 106 del 3 Agosto 2009. Il possesso di tale requisito deve essere attestato nell’ambito di un’apposita relazione tecnica redatta da un professionista abilitato;
- Prevedere all’interno della struttura un sistema di rilevazione di presenza del personale.
Ovvio che alcuni di questi requisiti sono sacrosanti, ma quale civile abitazione può vantarli??
Leggendo fra le righe si capisce bene come il modello Istituzionale e manicomiale si ripresenta vestito a festa.
3. Anche i requisiti di personale verranno radicalmente stravolti e tutte quelle figure con cui abbiamo collaborato dovremmo lasciarle a casa.
Insomma noi gestori dovremmo chiedere di essere autorizzati e poi accreditati per un sistema nel quale non potremmo reggere, senza andare in forte perdita di esercizio. Mettere a norma gli alloggi civili è costosissimo e spesso impossibile con questi criteri.
E le rette? Ovviamente essendo una prestazione che diventa ultrasoft e a carico dei Comuni o dei pazienti stessi, le rette sono ridicole, non permettono di lavorare. l’alternativa è un economia di scala, cioè grandi strutture minicomiali, con gruppi appartamento satellitari con poco personale a cavallo fra tutti i tre tipi di strutture.
Altro dettaglio i Comuni non hanno soldi e sono pessimi pagatori (loro malgrado) a volte pagano anche dopo un anno. Questo vuol dire che il gestore deve appoggiarsi alle banche e pagare interessi salati.
Ancora una volta solo grandi gruppi Bussiness-centrici possono permettersi di sopravvivere.
IN CONCLUSIONE
Noi gestori dovremmo “restituire” i pazienti alle ASL, che se operano in onestà e correttezza, seguendo le indicazioni regionali, dovrebbero a loro volta dirci, in fase di rivalutazione, che i pazienti stessi non sono da SPR3Ai posteri.
Le “comunità” o le entità che nasceranno si popoleranno ma non basteranno quei posti a soddisfare i bisogni creati.
Forse allora il “nemico” mostrerà il suo vero volto.
Ai posteri