SINTESI NORMATIVA
La necessità di colmare il “vuoto normativo” (fabbisogno, accreditamento) rispetto alla residenzialità dedicata agli utenti della Salute Mentale pare un processo in fase di definizione. In questi ultimi anni le proposte e i modelli hanno descritto scenari vari, arrivando oggi a una proposta (Cavallera) molto complessa e che rischia di allontanare questa tipologia di servizio dai reali bisogni dell’utenza.
Ci sono molte leggi e delibere che forniscono parametri e dettano regole ma possiamo sostanzialmente individuare 3 vincoli normativi attorno ai quali bisogna ragionare:
- il recepimento dell’accordo Stato – Regioni che individua tipologie di strutture in base al livello di intensità e rimanda alla Regione la definizione dei parametri specifici
- il piano di rientro economico 2013-2015 della Regione Piemonte che definisce “eccessivi” gli attuali posti letto sia delle CPB che dei gruppi appartamento e quindi chiede una razionalizzazione
- l’accreditamento (strutturale e organizzativo) necessario per l’erogazione di tali servizi
L’accordo Stato-Regioni prevede la differenziazione delle strutture in base sia alle necessità terapeutico-riabilitative sia alle necessità assistenziali: sappiamo come queste 2 dimensioni siano fortemente interconnesse e sappiamo come l’assistenza spesso includa la riabilitazione e come la netta divisione tra i 2 aspetti sia solo un artificio che solo in alcuni casi poco frequenti può avere un senso. Fondare, invece, la riorganizzazione massicciamente su tale aspetto appare un difetto che porta ad un conseguente scenario in base al quale le strutture e gli alloggi sono o prevalentemente riabilitativi o prevalentemente assistenziali; si tratterebbe cioè di costruire dei servizi cui devono adattarsi i pazienti (come se dovessimo fornire dei vestiti che devono andare bene alle persone, prima ancora di prendere le loro misure). Gli interventi sull’utenza psichiatrica, invece, devono essere costruiti su misura perché le necessità terapeutiche e assistenziali (e molte altre) assumono tutte le volte un mix unico e irripetibile, così come unici e irripetibili sono gli individui che le incarnano. Anche l’organizzazione del personale appare rispondere più ad un’esigenza di chiarezza normativa che ad un reale bisogno del paziente: nell’accordo stato regioni si trasferisce all’interno della struttura o dell’alloggio tutto il necessario fabbisogno del personale (dall’oss allo psichiatra); partendo dalla realtà di oggi – spesso efficace ed efficiente – le figure professionali che ruotano introno ai pazienti arrivano in misura varia dal DSM (o CSM) e dall’ente gestore della struttura o dell’alloggio e spesso è proprio l’interconnessione tra infermiere del CSM, Psicologo dell’ente gestore e medico di base che descrive quel contesto professionale utile all’inclusione sociale ed evita il rischio di affidare la gestione del paziente in toto ad un ente.
Insomma partendo dalle esigenze normative (ed economiche) si rischia di voler ingessare un sistema di servizi che deve essere mobile, flessibile e girare intorno ai bisogni dell’utenza (un film non può essere una fotografia).
Il piano di rientro economico obbliga la regione Piemonte a ridefinire il sistema di servizi residenziali per la psichiatria: oggi in Piemonte ci sono 56 CPB accreditate (per 1067 posti letto + altri 441 in “comunità alloggio”); il piano di rientro sostiene che sono troppi e che, in base al fabbisogno nazionale di posti letto, vanni ridotti a 900 tra CPB e Comunità Alloggio (invece di 1508).
I gruppi appartamento o alloggi assistiti in base al censimento effettuato dalla Regione nel settembre 2012 forniscono 1500 circa di posti letto. Ancora non si conosce il fabbisogno di posti letto per quanto riguarda i gruppi appartamento ma si presume che i 1500 circa disponibili ad oggi siano eccessivi.
Ora, alcune domande e preoccupazioni: se, ad oggi, ci sono circa 3000 pazienti inseriti in strutture e alloggi perché il fabbisogno dev’essere inferiore? Si è ecceduto nell’uso di tali strumenti? È vero che ci sono gli “extra regione”: pazienti che da altre regioni, carenti di strutture, vengono inseriti in piemonte e in alcune sono definiti nel piano di rientro “in quantità considerevole soprattutto in alcune strutture residenziali” e questo potrebbe essere un primo fronte su cui intervenire (magari rivedendo il fabbisogno regionale).
E come mai nella proposta di delibera a firma Cavallera le cpb tutte vengono riconvertite in srp2? “Le strutture residenziali “Comunità Protette di tipo B”, ad oggi già autorizzate ed accreditate (56 strutture per 1067 posti letto) verranno ricondotte nelle SRP 2 di tipo A con apposito atto di Giunta.” Questo significa che i 1067 posti presenti in strutture vengono garantiti e, allora, l’eventuale taglio di posti letto verrà prevalentemente attuato nella così detta “residenzialità leggera” (appartamenti e alloggi)? Non sono invece troppe le CPB (o SRP 2 tipo A)?
In questo scenario di ristrettezze economiche si rischia una contrapposizione (e anche conflitto) tra residenzialità di tipo strutturale (Comunità protette e Comunità alloggio) e residenzialità “leggera” che porterebbe a una sconfitta per i pazienti, in ogni caso. Se sia preferibile una comunità (magari dislocata in periferia, in collina) o un appartamento (magari in centro paese) credo che non sia possibile definirlo a priori, credo che solo le caratteristiche (necessità, limiti, potenzialità, compromissione, rete familiare e sociale..) del singolo paziente possano suggerire quale posto in un determinato periodo sia più adeguato e questa operazione, con tutte le approssimazioni delle nostre conoscenze, può essere svolta solo dai curanti in unione con i familiari e con il singolo paziente ovviamente.
Lo spostamento nel comparto sociale di ciò che fino ad oggi è stato sanità pare un movimento che finge di risparmiare (è come se in una famiglia sia la moglie a pagare le bollette invece del marito, nel totale non cambia la spesa); tagliare nell’ambito psichiatria significa tagliare risorse agli enti gestori, cioè agli operatori, cioè agli utenti. “Razionalizzare” la spesa può portare al rischio di privilegiare i contenitori più grandi (CPB) – che riescono ad abbattere i costi perché hanno numeri più importanti – a sfavore di quelli più piccoli: ma questa operazione è deleteria per i pazienti (immaginare che vengano spostati pazienti da alloggi qua e là disseminati nel territorio a strutture periferiche è spiacevole, oltre al fatto che l’obiettivo degli interventi è l’inclusione sociale, non l’esclusione).
Alcune possibilità (e proposte) rispetto al riordino della residenzialità: istituire un tavolo in cui regione e DSM decidano: 1) la Regione insieme ai DSM effettui una mappatura del proprio territorio, sia in termini di fabbisogno (utenti attualmente inseriti in strutture) sia in termini di strutture attualmente operative 2) saturare le strutture del proprio territorio con i pazienti del DSM territoriale 3) a partire da un budget condiviso con la Regione definire gli interventi possibili insieme agli enti gestori. Il DSM appare il più idoneo (conosce i pazienti, il territorio con le sue risorse, le strutture e gli enti gestori) a trovare la soluzione più accettabile, magari non la migliore, ma quella più vicina ai bisogni degli utenti. Questo processo va effettuato con la regione che, dovendo erogare finanziamenti, deve monitorare le scelte e conoscere i ragionamenti: è il difficile ma necessario dialogo tra portafoglio e clinica, tra ciò che bisognerebbe fare e ciò che si può fare.
L’accreditamento parte dall’assunto che i luoghi in cui avvengono interventi socio sanitari devono essere riconosciuti, autorizzati e, appunto, accreditati. E l’accreditamento prevede il rispetto di requisiti strutturali e organizzativi (personale) specifici.
Per quanto riguarda i requisiti strutturali si evidenzia un rischio per gli appartamenti e gli alloggi: che vengano richiesti adeguamenti inutili e non sostenibili. Inutili perché l’utenza psichiatrica nella stragrande maggioranza dei casi non ha bisogno di ascensori, bagni per disabili o tot metri quadri in più di quanto ne ha bisogno una persona senza problematiche psichiatriche. Impossibile perché certi adeguamenti strutturali non sono realizzabili in alloggi situati nei centri storici e poi perché gli enti gestori generalmente non possono assumersi un tale onere. È particolare come per l’utenza psichiatrica si intenda andare verso un modello sanitario non solo lontano dai bisogni dell’utenza ma altresì dannoso. Mentre il modello sanitario e quindi i rigidi e sacrosanti requisiti strutturali ben si adattano per esempio ad una sala operatoria, ad una grande struttura per anziani, ad uno studio dentistico ecc.. cosa c’entrano con una casa in cui vivono, per esempio, 3 pazienti ? nel momento in cui tale casa è una civile abitazione è sufficiente! Con l’accreditamento, invece, si tende a trasformare una semplice casa in un presidio sanitario (non solo non migliora l’efficacia dei progetti di intervento ma addirittura diventa una possibile stigmatizzazione per i pazienti).
Rispetto all’accreditamento strutturale, la Regione Piemonte ha già definito dei criteri sia per la residenzialità rivolta ai minori e sia per la residenzialità destinata alle patologie della dipendenza. In entrambi i settori, paragonabili alla psichiatria rispetto alle esigenze dei pazienti nelle abitazioni, si richiede che vengano rispettati i criteri della “civile abitazione”.
Come nel caso dei minori “Per ciò che riguarda l’accessibilità delle parti comuni, essendo le strutture per minori considerate principalmente come unità immobiliari residenziali, qualora gli stessi non abbiano più di tre livelli fuori terra è consentita la deroga all’installazione di meccanismi per l’accesso ai piani superiori, ivi compresi i servoscala, purché sia assicurata la possibilità della loro installazione in un tempo successivo. L’ascensore va comunque installato in tutti i casi in cui l’accesso alla più alta unità immobiliare è posto oltre il terzo livello, ivi compresi eventuali livelli interrati e/o porticati, e in ogni caso, qualora la struttura accolga utenti con disabilità motoria.”
Insomma, se un alloggio è sano e agibile (“affittabile”), regolarmente iscritto al catasto, con impianti a norma e qualche accorgimento in più (questo sì accreditabile, per esempio rilevatori anti fumo, piastre elettriche per la cucina o altro), ha le carte in regola per “ricevere” un intervento rivolto all’utenza psichiatrica. Peraltro è proprio questo lo spirito con cui son nati tali alloggi (che siano inseriti in contesti urbani, per facilitare l’inclusione quindi meglio se in condomini normali in cui poter conoscere anche gli altri vicini).
I requisiti del personale: l’accreditamento se applicato rigidamente obbliga gli enti gestori a fornire tot minuti di una determinata professionalità per ogni utente al dì: la nostra esperienza ci dimostra che per attuare un intervento efficace ed efficiente è necessario usare la flessibilità responsabile anche rispetto agli interventi psicologici, educativi e assistenziali (a volte il paziente richiede di più, a volte di meno e pensare di offrire sempre lo stesso tipo di intervento appare non solo inutile ma anche dannoso sia economicamente che dal punto di vista riabilitativo).
In linea generale riteniamo che siano i DSM territoriali a dover costruire nel territorio e nelle realtà residenziali interventi calibrati non solo sui pazienti di questo o quell’alloggio ma anche calibrati su un determinato territorio che ha una storia che contiene risorse utili ai pazienti.
Nello specifico le figure sanitarie e sociosanitarie si devono integrare nel mix di cui sopra (interconnessione tra necessità terapeutico riabilitative e assistenziali) con flessibilità e unicità (rispetto ai bisogni unici del singolo paziente o del gruppo).
Figure sanitarie:
- medico psichiatra
- psicologo iscritto all’albo
- infermiere
- tecnico della riabilitazione psichiatrica
- educatore professionale interfacoltà
- s.s.
Figure socio-sanitarie:
– dottore in psicologia;
– educatore professionale (con laurea triennale in scienza dell’educazione, o corso di riqualificazione ai sensi della DGR 258 – 45349 del 12/05/1995 o, fino e non oltre alla data di entrata in vigore del presente provvedimento, titolo conseguito successivamente alla attivazione delle lauree triennali presso scuole autorizzate dalla Regione Piemonte);
– dottore in scienze e tecniche psicologiche (laurea triennale).
Partendo da queste figure, dalle necessità dei pazienti e dalle risorse del territorio il DSM “compone” l’equipe più consono a rispondere al servizio; in alternativa si possono identificare delle percentuali all’interno delle quali DSM ed ente gestore può “muoversi”, garantendo la prevalenza di sanitario rispetto al sociale o viceversa.